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YUAN
(1279-1368). Dinastia di imperatori mongoli in Cina. Proclamata nel 1271 da Kubilai Khan, fu formalmente al potere dopo la definitiva sconfitta dei Song meridionali da parte dell'impero mongolo. La continua spinta all'espansione militare dei mongoli si espresse anche nei primi tempi del dominio degli Yuan con spedizioni contro il Giappone (1274, 1281), contro la Birmania (1277-1287), contro vari stati dell'Indocina (1283-1287) e contro Giava (1293), per i quali vennero utilizzate truppe cinesi e le ampie risorse finanziarie del nuovo stato, suscitando un gravissimo e diffuso malcontento nella popolazione sottomessa. Consolidato militarmente l'impero, i mongoli si trovarono ad affrontare l'estrema complessità economica e sociale della Cina e in particolare la sua delicata produzione agricola, altamente specializzata. All'interno della classe dirigente mongola, proveniente dalla aristocrazia militare, si delinearono subito due tendenze. L'una puntava a sottolineare e a rafforzare la tradizione delle abitudini seminomadiche dei mongoli e intendeva gestire la Cina come territorio di conquista, sotto un rigido controllo miliare, imponendo, quantomeno nelle regioni della Cina settentrionale, la riconversione al pascolo di vasti territori agricoli colonizzati dai cinesi. L'altra linea mirava a recuperare la tradizione amministrativa, culturale e istituzionale della Cina classica, incluso il pensiero politico confuciano (confucianesimo e neoconfucianesimo), inserendo l'aristocrazia mongola in modo organico al vertice della piramide sociale cinese, recuperando il ruolo degli intellettuali-funzionari cinesi e rafforzando le basi agricole della prosperità della Cina, anche a danno degli stanziamenti pastorali e nomadici delle tribù mongole. Benché quest'ultima politica avesse l'appoggio di figure di grande rilievo (primo fra tutti lo stesso Kubilai Khan), essa non riuscì mai a prevalere in modo decisivo, così che gli Yuan rimasero in buona parte estranei, e spesso ostili, all'immenso corpo sociale della Cina, e se ne alienarono tutte le componenti principali, incluse quelle sezioni dei grandi proprietari terrieri (la cosiddetta gentry) che li aveva inizialmente appoggiati in cambio di consistenti vantaggi fiscali. A partire dagli inizi del Trecento il paese fu scosso da sempre più frequenti insurrezioni contadine, spesso collegate a movimenti millenaristici di ispirazione buddhista e inizialmente dirette, oltre che contro i mongoli, contro gli abusi e i soprusi dei grandi proprietari cinesi. Gradualmente, di fronte alla brutale ottusità della reazione politica e militare mongola, nei movimenti insurrezionali confluirono elementi delle classi superiori cinesi e numerosi intellettuali. L'enorme superiorità numerica dei cinesi sui mongoli e la dispersione delle forze di quest'ultimi sull'immenso territorio determinarono il crollo degli Yuan, ai quali si sostituì la nuova dinastia cinese dei Ming. Il dominio mongolo in Cina, pur nella sua relativa brevità e pur con i caratteri conflittuali nei confronti della tradizionale società cinese, non fu tuttavia privo di aspetti positivi. In particolare, l'inserimento della Cina nella più vasta compagine dell'impero mongolo, che si estendeva fino al Mediterraneo e che era dotato di un eccellente sistema di trasporti e di comunicazioni, aprì il paese a nuovi contatti commerciali e culturali col continente euroasiatico. Da un lato in Cina si diffusero il nestorianesimo, il manicheismo, l'Islam e si stabilirono le prime missioni cristiane che, per quanto dessero adito successivamente a violente crisi di rigetto xenofobo, contribuirono all'arricchimento della tradizione religiosa cinese. Dall'altro, grazie alla disponibilità dei mongoli a consentire la libera circolazione di studiosi, commercianti e religiosi stranieri all'interno dell'impero, si ebbe una maggior conoscenza della ricca tradizione cinese all'estero attraverso l'opera di quanti stilarono resoconti dei loro viaggi, dalla Pratica della mercatura del fiorentino F. Balducci Pegolotti, al Milione di Marco Polo, alle opere geografiche dell'arabo Ibn Battuta.

C. Zanier